La casa abitata Gianni Contessi
Si crede un giovane performer trasgressivo invece si rivela come un tardo seguace del professor Gottfried Semper. Pensa di essere un prodotto progressivo del neo-avanguardismo lubianese, già europeo prima dell'ambita e meritata indipendenza slovena, e invece si confronta con una questione antica e decisiva come quella del rivestimento, già cara al summenzionato professore di Amburgo, nonché per altri versi a quella Scuola wagneriana alla cui definizione anche due grandi architetti sloveni, come Max Fabiani e Joze Plecnik hanno dato un contributo non secondario. Matej Andraz Vogrincic si manifesta come un artista ludico, ma non proviene da studi pittorici, non ha frequentato la pur ottima Accademia di Lubiana, bensì l'Università, dove ha seguito i corsi di storia dell'arte di una Scuola dove forse giungono gli echi di quella viennese. Attraverso Isidor Cankar e France Stelè, i grandi modelli di Dvorak e Schlosser forse parlano ancora altre giovani generazioni votate a ben altri modelli. Forse. Matej Andraz Vogrincic riveste edifici oppure oggetti determinati con gli abiti degli abitanti di un luogo: non è il Sartor Resartus di Thomas Carlyle, né l'impacchettatore a oltranza Christo. La "casa vestita" di campo Santa Margherita a Venezia gioca anche su altri fronti. Quello del la comunicazione, prima di tutto, che malgrado i rimandi colti sottesi, magari anche accidentali, riguarda la circolazione mediatica di idee e trovate del giovane Matej, ma anche la capacità che gli abitanti hanno attraverso l'uso degli abiti, di rileggere il loro habitat. Letteralmente, le pareti dell'edificio vengono rivestite e la coincidenza, anche lessicale fra parete e veste, fra Wand e Gewand indicata a suo tempo da Semper, ci parla del significato e della funzione del rivestimento. Il rivestimento nelle situazioni leggere e scanzonate proposte da Vogrincic è solo un pretesto per ricordarci come, tutti i giorni, l'occhio voglia la sua parte e come una parte di noi sia (abiti) nelle cose, oltre che nelle case.
Una casa dis-abitata è come una ferita nel corpo della città ma rappresenta anche una dimenticanza nella memoria collettiva; un luogo della citta che rischia di andar perso, di essere solamente una presenza fisica e non più uno spazio di cui si ha consapevolezza. Per questo l'artista si è fatto carico di ri-vitalizzare la casa, di ricongiungerla nuovamente al corpo della citta attraverso un rito che si avvale dell'energia vitale residua annidata tra i tessuti degli abiti usati. Di questo possiamo fare esperienza quando, nell'indossarli, talvolta ci sorprende un certo disagio. Abito, abitare, abitudine confluiscono nel termine avere (habere) che nel significato più profondo fa riferimento a un modo di essere ma anche di stare e, ancora, di aver cura, custodire, coltivare giorno per giorno. In poche parole instaurare una re-ligione, un ricongiungimento di ciò che era separato, fuori dallo sguardo consapevole del passante e quindi, in questo caso, fuori città. Il travestimento della casa è dunque un atto d'amore, di protezione, ma anche di riproposizione dell'edificio allo sguardo sotto una nuova veste o pelle. Così il colore rosso della tessitura dei mattoni può essere visto o come fodera rossa dei vecchi mantelli o come lo squallore di un corpo scorticato su cui agisce l'artista in qualità di sarto e di medico.
|